IL DANNO DA ROTTURA DEL RAPPORTO PARENTALE ED ONERE PROBATORIO

Anzitutto, pare indispensabile la relativa definizione di danno parentale: orbene, si tratta di “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. sent. n. 9196/2018).

Ne consegue, pertanto, che, in caso di morte di un prossimo congiunto il danno non deve essere considerato in re ipsa; bensì deve essere adeguatamente descritto ed allegato, nonché provato e documentato, anche facendo ricorso

alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. sent. n. 907/2018) ed, in merito, al fine di dimostrare l’intensità del danno possono essere senz’altro utili anche la prova per testi, onde verificare il legame parentale e l’intensità dello stesso, ma altresì una puntuale produzione documentale di, ad esempio, testamenti, lettere, messaggi, etc..

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